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MIUCHA: INTERVISTA A DANIEL ZARVOS

A cura di Paolo Campana

La bossa nova è diventata mood musicale internazionale alla fine degli anni ’50 con la fusione di samba brasiliana e cool jazz. Tutte le storie su questo genere tendono a concentrarsi prevalentemente sulle figure artistiche maschili.  Questo film invece, ci offre invece una nuova prospettiva attraverso cui guardare la bossa, ovvero la storia su una cantante e compositrice chiave che è stata sottovalutata: Heloísa Maria Buarque de Hollanda, conosciuta come Miúcha. Tra gli uomini i cui nomi divennero più celebri, era la sorella di Chico Buarque, l’allievo di Vinicius de Moraes, la seconda moglie di João Gilberto, la compagna musicale di Antônio Carlos Jobim, e la voce che accompagnava il sassofono di Stan Getz. Allora perché più persone conoscono il suo nome? Il regista Daniel Zarvos (cugino di Miúcha) e la co-regista Liliane Mutti hanno avuto un accesso straordinario agli archivi di famiglia: lettere personali, diari, diari audio, filmati amatoriali e gli espressivi acquerelli della cantante animati per il film. Sull’idea del film e la sua genesi ne parliamo con Daniel Zarvos, giunto oggi da Parigi per presentare il documentario.

Com’è nata l’idea di realizzare un film su Miúcha?

Daniel Zarvos: Sono sempre stato affascinato da Miúcha e mi sono avvicinato a lei quando ho lavorato come assistente alla regia di Nelson Pereira dos Santos al suo documentario Raízes do Brasil, un film su suo padre, lo storico Sergio Buarque de Hollanda. Miúcha era la sceneggiatrice del film e insieme a Nelson ha contribuito al suo sviluppo. Anni dopo ero con Liliane Mutti, a Parigi per il matrimonio di mia sorella ed mentre passeggiavamo per il Quartiere Latino abbiamo incontrato per caso Miúcha. Anche lei era lì per il matrimonio di mia sorella. Ci sedemmo così tutti e tre al Café Danton e ordinammo da bere mentre lei ricordava che proprio dietro l’angolo, in un club musicale chiamato Candelária, fulcro di incontri del poeta Pablo Neruda nei primi anni ’60, aveva incontrato suo futuro marito João Gilberto. Abbiamo passato qualche ora a parlare con lei e siamo partiti con l’idea di fare insieme un film sulla sua figura. Tutto è successo nel 2012, cinque anni dopo abbiamo iniziato il film e dopo 10, nel 2022, siamo riusciti finalmente a concluderlo.

Come hai diviso il lavoro con l’altra autrice e co-regista del film Liliane Mutti?

Daniel Zarvos: Con Liliane avevamo un’idea comune per lo schema generale e la struttura del film. Abbiamo intervistato Miúcha insieme alcune volte quando era viva e abbiamo usato queste interviste come base per il film. Liliane Mutti poi ha lavorato alla selezione delle lettere e alla sceneggiatura. Io invece ho tracciato il ritmo e l’estetica visiva del film e sono stato anche responsabile della ricerca e della scelta del materiale d’archivio. Discutevamo sempre e talvolta discutevamo su come il film dovesse essere diretto, ma abbiamo avuto sempre un obiettivo comune che era quello di realizzare il miglior film possibile e che esprimesse l’energia di Miúcha, restituendole un posto nella storia della Bossa Nova e musica brasiliana.

Per riassumere, Liliane nel film ha lavorato sulle questioni femministe riguardanti la vita e il carattere di Miúcha e io ho mi sono occupato più del  ritmo e dell’estetica del film.

Il film vede l’uso di molto materiale d’archivio come 16mm, lettere, e poi i magnifici acquerelli. Una specie di tesoro per un film, ma immagino sia stato difficile fare delle scelte. Come hai lavorato su questo?

Daniel Zarvos: È stato difficile fare alcune scelte, ma ancora più difficile è stato raccogliere tutto questo materiale d’archivio e restaurarlo. La realizzazione di un film è sempre definita dalle scelte che fai, e per me sembra che più ci lavori e più il film inizia a prendere forma: le scelte che fai iniziano ad avere un senso e prendono una forma definitiva. L’idea è che l’opera abbia una sua identità e non diventi un assemblaggio casuale di materiale o porti a uno schema didascalico. Sembra esserci qualche fattore di invisibilità e possibilità in cui i frammenti si comportano in modo molto simile a particelle subatomiche che si scontrano e costruiscono un nucleo. Mentre guardo il film ancora e ancora, a volte penso se avrei dovuto includere altro materiale o tralasciarne una parte, ma sembra esserci una barriera, un limite che protegge il film e lo definisce come un’identità in sé.