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THE SMITHS – GLI ULTIMI SANTI DEL POP

Di Federica Lemme

Now I know how Joan of Arc felt

As the flames rose to her roman nose

And her walkman started to melt

(Da Bigmouth Strikes Again, J.Marr, Morrissey, 1986)

1987. Un tormentato giovane di Denver, Colorado, con una pistola tiene in ostaggio la locale stazione radiofonica affinché mandi in onda solo la musica degli Smiths. E così fanno, per quattro ore, infliggendo Morrissey alla povera popolazione cristiana del Colorado, che fino a quel punto ne ignorava l’esistenza. Un gesto allo stesso tempo romantico e disperato, rivoluzionario. 

Se mai la musica ha avuto la possibilità di cambiare il mondo o almeno di fargli venire qualche serio incubo, è stata la musica degli Smiths. Morrissey è stato un nerd che ha combattuto una guerra di liberazione con un singolo pop. 

Il post punk ha rappresentato l’ultimo periodo della storia in cui dei giovani spiriti inquieti hanno creduto che ascoltando abbastanza a fondo e abbastanza a lungo un profeta del pop vestito con magiche brache coperte di lustrini avrebbero trovato la Risposta. Steven Patrick Morrissey è stato il simbolo gli altri anni Ottanta: mentre nei bar sudati adolescenti ballavano sognando San Pedro a ritmo di Madonna, ragazzi con una spina nel fianco, nelle loro solitarie camerette di periferia, la notte si illudevano che qualcuno potesse amarli. Morrissey era la loro Giovanna d’Arco, il santo protettore del loro buio privato, pronto a chiudere la bocca al mondo intero.

Al contrario dei Sex Pistols che spesso bluffano, o assumono posizioni antagoniste per il proprio tornaconto, gli Smiths odiano davvero qualunque cosa imposta come normale. I loro testi aggrediscono il sistema educativo, la famiglia, il matrimonio, l’età adulta, il sesso, la chiesa, il consumo di carne, il denaro, i governi, la regina, le discoteche, la fame, le relazioni sociali, e il music business. Autogestiscono la propria produzione musicale e l’immagine. 

Per tradurre la poetica del suono nel video si affidano al regista Derek Jarman. Inglese, artista nel senso più profondo del termine, instancabile sperimentatore, ha rappresentato per la storia del cinema e per quella dell’arte una delle punte più significative dell’espressione visiva del ventesimo secolo. The Queen is Dead è un cortometraggio girato in Super 8. Si apre con un ragazzino che scrive sui muri con lo spray la Regina è morta e prosegue con immagini in rapidissima successione. Il montaggio frenetico, associato al ritmo incalzante della musica, e a frammenti di estrema  bellezza, rappresenta al meglio  il rifiuto nei confronti di qualunque cosa la società consideri accettabile, ma pure il cuore della ribellione di Morrissey.

Il suo è un odio sensuale, che non offre violenza teatrale ma parole delicate e velenose. Moz non proclama una rivoluzione politica ma commette l’azione terroristica suprema: riscrive il modo di cantare il sesso e l’amore. Non inneggia al nichilismo, bensì al romanticismo, alla franchezza. La mancanza di pretenziosità degli Smiths, il loro nome semplice, il loro aspetto, i toccanti arrangiamenti di chitarra di Johnny Marr, non sono solo una reazione alla pomposità degli anni Ottanta, ma pure un modo di sottolineare la sincerità delle parole di Morrissey, di ricordare che gli Smiths non sono showbusiness.

Nessun manager, nessuna casa discografica, niente affari né imperativi professionali. Per Morrissey e Marr gli Smiths non sono un modo per aprire una porta sulla vita, bensì un modo per sfondare a calci la porta della vita. Nessun compromesso. Steven e Johnny dall’alto della loro montagna impongono la propria visione del reale al mondo, con Andy e Mike che agiscono al momento opportuno al basso e alla batteria, centinaia di metri a valle. È un matrimonio strano e fatale. Morrissey lo sa, fin dal trionfo del primo singolo, Hand In Glove, ha già concepito l’idea che Marr lascerà gli Smiths a causa sua. Johnny non se ne rende ancora conto, è un amante intrappolato nella ragnatela del desiderio. Steven canta sulla sua musica come se da questo dipendesse la propria esistenza. Ed è vero. Morrissey anche se più grande anagraficamente, è un timido, e la timidezza può impedirti di fare tutto quello che ti piacerebbe fare nella vita.

Se Johnny il seduttore, il virtuoso della chitarra, nel 1982 non avesse suonato alla porta di Moz per chiedergli se c’era qualcosa che gli sarebbe piaciuto provare con lui, probabilmente la bomba The Smiths non sarebbe esplosa, e Steven sarebbe rimasto un miserabile rinchiuso nella propria triste cameretta. Ma Morrissey è un sognatore e Marr un uomo di mondo. E gli uomini di mondo sono necessari ai sognatori per fare quello che vogliono e devono fare: infliggere i loro sogni a tutti. La decisione di Marr di lasciare Morrissey e gli Smiths scaturisce dalla sensazione di sentirsi più una fantasia di Moz che di sé stesso.  Il loro incontro era stato una bomba e aveva fatto saltare in aria tutte le regole dell’universo discografico e non. Ma l’arroganza del loro amore adolescente non era destinata a durare. La marea del tempo lo avrebbe soffocato. 

Nel 1987, mentre Marr e Morrissey trasformano le loro incomprensioni in una separazione, Mike Joyce e Andy Rourke assistono impotenti all’atto finale della relazione. Una decisione che devasta i fan e che professionalmente è un errore perché il mondo in quell’anno è ai piedi della band, ma che nessuno, neppure Steven può rinfacciare all’amico. Il gioco non è più divertente.

In una delle sue ultime dichiarazioni Moz afferma a chiare lettere che non potrà mai esserci una reunion degli Smiths. I rapporti tra lui e Marr sono tesi da anni. Di recente Morrissey scrive una lettera pubblica all’ex amico in cui lo esorta a smetterla di usare il suo nome per fare clickbait e, in generale, a smetterla proprio di menzionarlo nelle interviste, perché è il 2022, non il 1982. Si legge: «Perché non parli della tua carriera invece, delle tue incredibili conquiste come artista solista? Puoi per favore lasciarmi fuori? Il fatto è che tu non mi conosci. Non sai nulla della mia vita, né delle mie intenzioni, dei miei pensieri, dei miei sentimenti. Eppure parli di me come se fossi il mio psichiatra, come se avessi costante accesso ai miei istinti. Sono 35 anni che non ci conosciamo, molte vite fa. Quando ci siamo incontrati, io e te, non eravamo famosi. Ci siamo aiutati l’un l’altra a diventare ciò che siamo oggi. Perché non lasci che le cose stiano in quel modo?».

Johnny resta oggi un musicista e compositore incredibilmente originale che ha guadagnato un posto ne pantheon del pop. Eppure il suo più grande contributo alla storia della musica è stato quello di spingere Steven allo scoperto, portando leggerezza in un mondo di depressione, di fornirgli gli strumenti con cui avrebbe imposto la sua realtà meravigliosamente distorta al mondo. Per Morrissey incontrare Marr era stato un segno del fato, esattamente come aveva sperato, desiderato e pregato, l’amore casto e la salvezza erano giunti a lui attraverso il pop. La sua misantropia e la sua frustrazione erano state vendicate. Poteva restare da solo, proteggere quei giovani che in cima al letto tenevano appiccicata la sua immaginetta, come quella di un santo. Ora era amato, anche se non proprio come qualsiasi altra persona.