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TRACK 4: “Downtown 81” di Edo Bertoglio

“New York Beat Movie” è il titolo iniziale del progetto, quando fra dicembre 1980 e gennaio 1981 il fotografo svizzero Edo Bertoglio sguinzaglia un Basquiat pre-Warhol per le strade del Lower East Side, chiedendogli di interpretare se stesso in una docufiction itinerante, rapsodica, un corredo di istantanee su Manhattan che rendano lo spirito del tempo.

Si comincia così: il giovane artista Jean, dimesso dall’ospedale dopo essere guarito da chissà quale malattia, sfrattato dal padrone di casa, si mette a vagare. E la cinepresa con lui, dai loft ai vicoli malfamati, dai locali di striptease a quelli per concerti, fermandosi a parlare con graffitari, tossici, dj, pusher, barboni, prostitute, mecenati, matti.

Lo specchio della biografia di Basquiat fa da pretesto al dipanarsi della cultura no wave: Jean deve esibirsi l’indomani col suo gruppo, i Gray (vi ci milita Vincent Gallo), ma subisce il furto degli strumenti, perciò adesso oltre a trovare un giaciglio, a smaltire la gelosia per una modella, a tentare di vendere i suoi quadri, ha un ennesimo problema da affrontare. Da qui inizia una ricognizione musicale che va dai Tuxedomoon (riposi in pace Peter Principle, scomparso il 17 luglio scorso) immortalati in studio mentre suonano “Desire”, ai DNA di Arto Lindsay, passando per i live dei Plastics e di Kid Creole & the Coconuts.

Sbucano ovunque i figli dell’epoca: la stilista Maripol, il regista di “The Blank Generation” Amos Poe, il sassofonista James White, il writer Lee Quiñones, (eccetera), infine Debbie Harry che si trasforma da clochard a principessa delle fiabe e ripaga un bacio ricevuto con una vagonata di bigliettoni. Partecipazioni utili a tenere il conto degli esponenti del movimento, ma che anzitutto vestono la pellicola di atmosfere che dicono di un’estrema coesione fra le parti in gioco, nonostante l’assenza apparente di composizione logica, estetica e narrativa. Le schegge di New York di “Downtown 81” seguono infatti il flusso di coscienza di Basquiat (ridoppiato dal rapper/poeta Saul Williams nel 2000, a montaggio ultimato: audio originale perduto, problemi di budget); non spiegano nulla ma restituiscono l’idea di un clima artistico che si è trascinato appresso contaminazioni e transizioni importanti, fra chitarra e synth, campionamenti e turntablism, punk e post-punk, anni Settanta e anni Ottanta.