fbpx

ROCKET TO RUSSIA

Di Federica Lemme

Nel 1988 in Italia, in un paese di neanche tremila anime del profondo sud, sbarcava ufficialmente la nuova armata musicale sovietica. Le Idi di Marzo era il primo festival italiano dedicato al rock d’oltre cortina, introdotto in Occidente da Red Wave, una compilation americana con i brani più rappresentativi del clandestino sound russo.

Più in là del muro era difficile rockeggiare, spesso i concerti venivano svolti clandestinamente in appartamenti, alla presenza di poche decine di persone. Ci si poteva esibire liberamente solo in quanto musicisti statali, e la musica promossa dal regime era molto lontana da quella dei sintetizzatori. Si legge su un datato numero di Rockerilla: “[…] Per i gruppi sovietici il problema non è mai stato quello di cavalcare il mercato, che fosse da indipendenti o con le major, quanto di conquistarsi spazi di esistenza nella società […] Il monopolio dell’etichetta di stato, la Melodya, veniva sfidato incidendo dischi illegalmente, su lastre usate per le radiografie al posto del vinile. Il terreno di crescita è stato perciò un rapporto diretto con il pubblico, con la vita, dove la politica entra con il peso della quotidianità e la musica diventa arte popolare del dissenso […]”.

In quel lontano luglio degli anni Ottanta, accompagnati dal sound nostrano di Litfiba e CCCP, salirono sul palco pugliese formazioni quali Sekret, Justament, Demolition Group, New Collection, Igre, Televizor, e i Kino. Questi ultimi furono poco considerati o presi poco sul serio, non finirono neppure nell’articolo del critico Gino Castaldo che raccontava l’evento, ma sarebbero poi rimasti nella storia come le stelle più luminose di quel rock sovietico illegale e ispirato a Talking Heads, Rolling Stone, Lou Reed, David Bowie e T-Rex. Il pezzo Peremen sarebbe stato in breve tempo ribattezzato come l’inno della Perestrojka, e sarebbe diventato un simbolo universale per ragazzi in rivolta e alla ricerca di un cambiamento esistenziale e politico. Ancora oggi nella famosa Arabat’ di Mosca i giovani lasciano una sigaretta spezzata e accesa in uno speciale posacenere vicino al muro di Tsoi.

Viktor Tsoi, frontman di questa incredibile band, resta una leggenda. Un ultimo eroe russo, mancato tragicamente in un incidente stradale ad appena ventotto anni, lasciando in eredità una valigia di canzoni. Dopo la sua morte, il seminterrato in cui ha trascorso gli inverni a spalare il carbone – lavorava nel locale caldaia di un condominio – è diventato un club noto come Kamchatka.

È ancora in attività, qui si tengono regolarmente concerti con vari gruppi che suonano le sue canzoni e i dipinti che ha eseguito sono permanentemente in mostra. Nel 2018 al mondo di Viktor Tsoy il regista Kirill Serebrennikov ha dedicato una pellicola, Leto, ovvero Estate, come una sua canzone pubblicata dopo la scomparsa. Il film ha riportato la new wave targata URSS nell’Occidente d’oggi rendendola immortale, perché più vicina a Dostoevskij che alla celeste poetica del ferro A ja Ljublju SSSR a ja Ljublju SSSR oramai defunta.

D’altronde se Melpignano fu l’occasione che permise all’ Arci Nova Pugliese di organizzare un tour con CCCP e Litfiba in Unione Sovietica, Ferretti nel 1989 commentava che la storia dei CCCP era finita proprio a Mosca, quando, eseguendo l’inno sovietico, i militari dell’Armata Rossa si erano alzati e messi sull’attenti, senza nemmeno essere sfiorati dal dubbio che fosse tutto una parodia.